404 - Jazz not found
Mostra/Installazione organizzata in concomitanza del festival JAZZ IS DEAD al Bunker. Collettiva del "Collettivo Fotografi jazz Torino":
Con Carlo Mogavero, Mamo del Pero, Marco Alessi, Ferdinando Caretto, Antonio Baiano, Stefano Barni.
dal 27 al 29 maggio 2022
Collezione di 79 manifesti di grandi dimensione (43 100x70 e 36 140x100)
Abstract
La fotografia jazz, come ogni altro genere di fotografia, soffre dell’inflazione tecnologica e dell’approccio bulimico dei social media. Ovunque le foto si sovrappongono, si confondono, si replicano all’infinito, annacquando il potere evocativo di momenti sonori, intrisi di implicazioni sociali e politici, che nel passato, protetti da situazioni estreme di luce, pochi pionieri riuscivano a rivelare. Quindi la fotografia jazz è morta? Forse no. Può essere rielaborata e presentata con un approccio corale e collettivo che miri a convergere in strutture emozionali simili a installazioni. La classica foto del musicista colto nell’atto di suonare subisce una metamorfosi e diventa una nuvola di immagini essenziali che si inseguono con caotica armonia o interagiscono in dissonanze simili a quelle delle forme musicali più coraggiose. Una cascata di suggestioni che deve essere letta in modo anarchico e istintivo, inseguendo le emozioni che trasmette non solo tramite i canoni tradizionali della fotografia, ma soprattutto attraverso i significati del percorso visuale che la sensibilità dello spettatore riuscirà a costruire.
Colophon
La passione è il denominatore comune che lega Marco Alessi, Antonio Baiano, Stefano Barni, Ferdinando Caretto, Mamo Delpero e Carlo Mogavero: passione per il jazz e passione per la fotografia. Dietro di loro non si cela un’agenzia di fotoreporter professionistica, ma solo passione. E’ così tanta che da anni non si perdono neppure un concerto, magari scegliendolo accuratamente a misura del proprio gusto, così da poter andare, ascoltare e tradurlo al meglio in scatti fotografici, muti, ma talmente intensi, da evocarne i suoni. Istantanee che esprimono la creatività del jazz, l’improvvisazione, il ritmo, l’interplay tra i musicisti. Scatti che colgono continue emozioni così come i momenti di concentrazione da cui scaturisce l’impeto del musicista per un dirompente a solo. L’obiettivo per fare il suo lavoro richiede all’occhio di saper sintetizzare tra il racconto immediato del suono e l’architettura di uno spazio compositivo, tra storie di musicisti e discorsi di strumenti. Questo articolato mondo che è racchiuso in una foto, è il risultato complesso di passioni che si mescolano, ma con un legame profondo proprio come quello che da sempre esiste tra il jazz e la fotografia. L’occhio nel mirino del Collettivo Fotografi Jazz Torino (nome che riporta a passioni diverse, un po’ retaggio del glorioso ’68 studentesco) è sguardo d’autore: fatto d’immagini capaci di raccontare l’atmosfera su di un palco o gli eventi di un festival, ma anche cosa succede nel backstage di un concerto, oppure l’umore e le emozioni di pubblico e artisti, fino a fissare gli stessi luoghi che ospitano le performance, capaci di alimentare e amplificare suggestioni. Le stampe decisamente contrastate e rigorosamente in bianco e nero, o dai colori esasperati dalle luci di palco, riescono sempre e comunque a leggere efficacemente l’attimo: il momento dell’improvvisazione, l’enfasi ritmica, il rigore dell’esecuzione, cogliendo e fissando la bellezza, lo spirito e l’intensità di quanto si consuma sul palco, a pochi metri dall’obiettivo. Il jazz è un linguaggio universale, ma anche la fotografia lo è; e la musica, che nel jazz svanisce nel momento stesso dell’esecuzione, mai ripetibile, viene catturata per sempre dallo scatto. Forse per questo esiste da sempre un profondo rapporto tra fotografia e jazz. Sarà che sono due espressioni artistiche nate nello stesso periodo storico, a cavallo tra il 1800 e il 1900; sarà che è una bella sfida sopperire al suono col silenzio di una immagine tanto intensa, da evocarlo. Le stelle del jazz, fin dalle origini di questa musica, sono stati tra i soggetti preferiti di numerosi fotografi: alcuni famosissimi, altri anonimi, ma tutti, con i loro scatti, hanno desiderato immortalare la musica attraverso ritratti o momenti intensi di concerti. Questa mostra è al Bunker, indubbiamente ambiente underground: stesso habitat del jazz che da sempre frequenta scantinati, interrati, cave come dicono i francesi; ma soprattutto il jazz è cultura da sempre alternativa, veramente underground. Non semplice da capire se non si ha l’animo disposto ad accogliere un linguaggio musicale diverso, anticonformista. Ecco dunque la scelta di allestire la mostra fissando gli scatti su poster grandi come manifesti pubblicitari, formati fuori da quelli che si vedono in una mostra; e non foto “pulite”, ma mosse: spesso anche molto colorate, fuori fuoco per ricercare un effetto più pittorico che visivo. Installazione insomma che vuole essere molto jazzistica, praticamente improvvisata.
Marco Basso
Mostra/Installazione organizzata in concomitanza del festival JAZZ IS DEAD al Bunker. Collettiva del "Collettivo Fotografi jazz Torino":
Con Carlo Mogavero, Mamo del Pero, Marco Alessi, Ferdinando Caretto, Antonio Baiano, Stefano Barni.
dal 27 al 29 maggio 2022
Collezione di 79 manifesti di grandi dimensione (43 100x70 e 36 140x100)
Abstract
La fotografia jazz, come ogni altro genere di fotografia, soffre dell’inflazione tecnologica e dell’approccio bulimico dei social media. Ovunque le foto si sovrappongono, si confondono, si replicano all’infinito, annacquando il potere evocativo di momenti sonori, intrisi di implicazioni sociali e politici, che nel passato, protetti da situazioni estreme di luce, pochi pionieri riuscivano a rivelare. Quindi la fotografia jazz è morta? Forse no. Può essere rielaborata e presentata con un approccio corale e collettivo che miri a convergere in strutture emozionali simili a installazioni. La classica foto del musicista colto nell’atto di suonare subisce una metamorfosi e diventa una nuvola di immagini essenziali che si inseguono con caotica armonia o interagiscono in dissonanze simili a quelle delle forme musicali più coraggiose. Una cascata di suggestioni che deve essere letta in modo anarchico e istintivo, inseguendo le emozioni che trasmette non solo tramite i canoni tradizionali della fotografia, ma soprattutto attraverso i significati del percorso visuale che la sensibilità dello spettatore riuscirà a costruire.
Colophon
La passione è il denominatore comune che lega Marco Alessi, Antonio Baiano, Stefano Barni, Ferdinando Caretto, Mamo Delpero e Carlo Mogavero: passione per il jazz e passione per la fotografia. Dietro di loro non si cela un’agenzia di fotoreporter professionistica, ma solo passione. E’ così tanta che da anni non si perdono neppure un concerto, magari scegliendolo accuratamente a misura del proprio gusto, così da poter andare, ascoltare e tradurlo al meglio in scatti fotografici, muti, ma talmente intensi, da evocarne i suoni. Istantanee che esprimono la creatività del jazz, l’improvvisazione, il ritmo, l’interplay tra i musicisti. Scatti che colgono continue emozioni così come i momenti di concentrazione da cui scaturisce l’impeto del musicista per un dirompente a solo. L’obiettivo per fare il suo lavoro richiede all’occhio di saper sintetizzare tra il racconto immediato del suono e l’architettura di uno spazio compositivo, tra storie di musicisti e discorsi di strumenti. Questo articolato mondo che è racchiuso in una foto, è il risultato complesso di passioni che si mescolano, ma con un legame profondo proprio come quello che da sempre esiste tra il jazz e la fotografia. L’occhio nel mirino del Collettivo Fotografi Jazz Torino (nome che riporta a passioni diverse, un po’ retaggio del glorioso ’68 studentesco) è sguardo d’autore: fatto d’immagini capaci di raccontare l’atmosfera su di un palco o gli eventi di un festival, ma anche cosa succede nel backstage di un concerto, oppure l’umore e le emozioni di pubblico e artisti, fino a fissare gli stessi luoghi che ospitano le performance, capaci di alimentare e amplificare suggestioni. Le stampe decisamente contrastate e rigorosamente in bianco e nero, o dai colori esasperati dalle luci di palco, riescono sempre e comunque a leggere efficacemente l’attimo: il momento dell’improvvisazione, l’enfasi ritmica, il rigore dell’esecuzione, cogliendo e fissando la bellezza, lo spirito e l’intensità di quanto si consuma sul palco, a pochi metri dall’obiettivo. Il jazz è un linguaggio universale, ma anche la fotografia lo è; e la musica, che nel jazz svanisce nel momento stesso dell’esecuzione, mai ripetibile, viene catturata per sempre dallo scatto. Forse per questo esiste da sempre un profondo rapporto tra fotografia e jazz. Sarà che sono due espressioni artistiche nate nello stesso periodo storico, a cavallo tra il 1800 e il 1900; sarà che è una bella sfida sopperire al suono col silenzio di una immagine tanto intensa, da evocarlo. Le stelle del jazz, fin dalle origini di questa musica, sono stati tra i soggetti preferiti di numerosi fotografi: alcuni famosissimi, altri anonimi, ma tutti, con i loro scatti, hanno desiderato immortalare la musica attraverso ritratti o momenti intensi di concerti. Questa mostra è al Bunker, indubbiamente ambiente underground: stesso habitat del jazz che da sempre frequenta scantinati, interrati, cave come dicono i francesi; ma soprattutto il jazz è cultura da sempre alternativa, veramente underground. Non semplice da capire se non si ha l’animo disposto ad accogliere un linguaggio musicale diverso, anticonformista. Ecco dunque la scelta di allestire la mostra fissando gli scatti su poster grandi come manifesti pubblicitari, formati fuori da quelli che si vedono in una mostra; e non foto “pulite”, ma mosse: spesso anche molto colorate, fuori fuoco per ricercare un effetto più pittorico che visivo. Installazione insomma che vuole essere molto jazzistica, praticamente improvvisata.
Marco Basso